ESSERE DONNA IN SCANDINAVIA
Esperienze e riflessioni di una donna italiana in Danimarca
di Laura Tomassini*
30 anni fa mi sono trasferita da Roma in Danimarca e ho fatto subito esperienza di una profonda differenza fra l’essere donna in Italia e l’essere donna in un paese scandinavo.
Mi colpiva nelle donne incontrate una radicata consapevolezza del proprio valore in quanto donna e dell’essere quindi chiamate a contribuire ‘al femminile’ al benessere sociale. Erano tutte molto indipendenti - psicologicamente ed economicamente - e sicure di sé. Libere da condizionamenti sia da parte della famiglia di origine sia da parte di eventuali compagni/mariti.
Anche con i figli avevano un atteggiamento equilibrato, quasi distaccato e assolutamente non protettivo, teso piuttosto a responsabilizzare i figli fin dai primi anni di età.
Erano coscienti di sé, di quello che volevano realizzare nella loro vita e non avevano paura di mettersi in gioco.
Nei loro rapporti con gli uomini poi - sia nella sfera privata che in quella lavorativa - erano molto esplicite nelle loro aspettative riguardo il comportamento maschile nei loro confronti.
30 anni fa questo modo di essere mi aveva molto sorpreso e non sempre in positivo: mi sembrava rasentasse l’arroganza e l’aggressività.
Ho cominciato presto ad indagare l’origine di un atteggiamento così diverso rispetto a quello a cui ero abituata.
La prima risposta era sempre la stessa: il movimento femminista (delle ‘røde strømper’ ossia delle calze rosse, indossate dalle femministe danesi nelle manifestazioni intorno al ‘68) aveva avuto un forte impatto sociale e culturale, formando profondamente la generazione delle mie coetanee - nate all’inizio degli anni 60.
Sicuramente questa era una spiegazione ma non l’unica. All’epoca conoscevo la società danese ancora troppo poco, ma mi tornava in mente Tacito che nel suo Germania del primo secolo dopo Cristo, racconta che i Germani, affrontando i Romani in battaglia, venivano aizzati dalle donne della tribù rimaste nelle retrovie e avevano meno paura, nel caso di una eventuale ritirata, di affrontare i nemici che le loro donne (anche perché una sconfitta avrebbe rappresentato lo sterminio di tutta la tribù).
Oggi la consapevolezza del proprio valore di donna è se possibile ancora più radicata nella società danese: oltre ad avere una regina ed un primo ministro donna, ci sono moltissime donne capi d’azienda e di consigli d’amministrazione.
Circa l’80% delle donne lavora in tutti i campi e il loro livello di formazione è spesso piu` alto di quello maschile. Raramente si sente parlare di discriminazioni nel mondo del lavoro (fatta eccezione per lo stipendio che - a parità di mansioni - è ancora più alto per gli uomini). La pandemia che ha così fortemente pesato sulle donne italiane - spesso costrette a rinunciare al lavoro per stare con i figli - non ha avuto gli stessi effetti in Danimarca dove padri e madri hanno condiviso il compito di occuparsi dei figli nel lungo periodo in cui le scuole sono state chiuse.
Cosa determina la differenza fra l’essere donna nel nord e nel sud dell’Europa?
Un primo fattore è sicuramente quello educativo: fin dalla prima infanzia maschi e femmine hanno esattamente gli stessi compiti, le stesse responsabilità sia a casa che a scuola crescendo quindi lontani da stereotipi di genere. A scuola i ragazzi imparano a cucinare e anche a cucire o a lavorare a maglia perché considerato utile e non ‘femminile’. Allo stesso modo le ragazze imparano a lavorare il legno o a fare piccole riparazioni in casa. Figli e figlie aiutano entrambi in casa senza distinzione di genere. La naturale conseguenza è che una volta formata la propria famiglia continueranno a dividersi i compiti alla pari (compreso il congedo maternità/paternità).
Un altro importante fattore è l’immagine della donna propagandata dai media. Qui non esistono concorsi di bellezza e varietà televisivi dove le ragazze sono apprezzate unicamente per il loro aspetto fisico. In generale i condizionamenti verso una cura eccessiva dell’aspetto esteriore sono molto meno forti in Danimarca che in Italia.
Il rovescio della medaglia è naturalmente che insieme ai maggiori diritti si accompagnano maggiori doveri: non esiste qui la figura dell’uomo protettivo che aiuta nelle attività pratiche o nell’amministrazione domestica spesso interamente affidata alle donne.
Non esiste neanche la figura della donna economicamente dipendente, proprio perché ognuno deve saper badare a se stesso.
L’esperienza danese mi dimostra che un’equilibrata formazione al rispetto dei generi fin dai primi anni di vita, unita ad un’equa condivisione dei compiti in casa è un presupposto imprescindibile per garantire il reciproco rispetto in età adulta sia nell’ambito familiare che in quello lavorativo. Il prezzo è imparare a camminare con le proprie gambe fin da giovanissime sviluppando uno spirito libero da eventuali condizionamenti di ruoli.
*Laura Tomassini,
nata a Roma nel 1963, residente a Copenaghen dal 1992,
sposata con un danese e madre di due figli,
è laureata in Lingue e letterature straniere all’Università La Sapienza di Roma
e ha conseguito un dottorato in Letteratura scandinava medievale
e una specializzazione in Informatica e gestione di progetti
presso l’Università di Copenaghen; attualmente lavora
presso la Banca Nazionale di Danimarca.
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